Impresa responsabile e mercato civile by Stefano Zamagni

Impresa responsabile e mercato civile by Stefano Zamagni

autore:Stefano, Zamagni [Zamagni, Stefano]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Economia, Saggi
ISBN: 9788815314253
editore: Societa editrice il Mulino Spa
pubblicato: 2013-10-14T22:00:00+00:00


2. L’etica delle intenzioni «vs.» l’etica delle conseguenze

Si pone la domanda: non sarebbe sufficiente, al fine di responsabilizzare socialmente l’impresa, fare appello all’intenzionalità dei singoli? Secondo l’etica delle intenzioni (nota anche come etica della convinzione) un’azione è definita buona quando è conforme a due regole: quella prossima (la coscienza) e quella remota (la legge). Chi, riuscendo ad armonizzare coscienza e legge, si comporta di conseguenza, compie un atto moralmente buono. Sono dunque le intenzioni, e non tanto le conseguenze, dell’agire a definire il comportamento eticamente accettabile. Come dire che il fine giustifica le conseguenze. Agire secondo buone intenzioni equivale perciò ad agire secondo il dovere obbligante. L’etica delle intenzioni è dunque un’etica deontologica, come Kant ha magistralmente precisato. Celebre l’esempio utilizzato dal filosofo tedesco per illustrare la portata del suo deontologismo: è eticamente ammissibile chiedere, in una situazione di estremo bisogno, un prestito di denaro con la promessa di restituirlo, ma con l’intenzione di non farlo? La risposta negativa è giustificata da Kant con la considerazione che un simile comportamento, qualora venisse universalizzato, provocherebbe una tale distruzione di fiducia generalizzata da non rendere più possibile che altri, facendo promesse, vengano creduti.

L’espressione che sintetizza bene questa posizione è dunque: good business is good ethics. L’impresa che realizza profitti è anche responsabile perché, creando ricchezza, consente a soggetti rettamente intenzionati di perseguire i loro scopi. Non c’è illustrazione più efficace di questo modo di pensare dell’esperienza di Andrew Carnegie, il grande capitalista filantropo americano, di cui si è detto nel capitolo I. Il primo studio organico sull’applicazione dell’etica kantiana alla Rsi è paradossalmente recente. Si tratta del saggio di Bowie [1999]. Merito non secondario di questo libro è quello di porre in risalto l’eccessivo astrattismo dell’etica delle intenzioni, il che rende tale teoria di fatto inapplicabile alla realtà del mondo delle imprese. Un altro limite, ancora più serio, affligge questa prospettiva di discorso: quello di non dare peso alcuno agli effetti indotti e indiretti delle azioni individuali. Se la mia attività, pur guidata da retta intenzione, genera esternalità negative che ricadono su altri soggetti, l’atto soggettivamente lecito diviene oggettivamente, cioè ideoprassicamente, illecito. Decidere di affidare i propri risparmi a una finanziaria perché ne massimizzi il rendimento è un atto in sé lecito secondo il criterio della regola sia prossima sia remota. Ma se quella finanziaria impiega i miei risparmi in uno dei tanti modi illeciti, oggi ben noti, l’atto in questione diviene oggettivamente censurabile. Il che significa che la previsione degli effetti dell’azione che si va a compiere è parte integrante del giudizio etico sulla stessa.

Generalizzando: la posizione che stiamo considerando spinge il manager a comportarsi senza tenere in alcun conto il rischio della teleopatia. Secondo Goodpaster [2007] la struttura logica della sindrome teleopatica – oggi sempre più diffusa – contempla tre elementi: la fissazione di un obiettivo che va perseguito a ogni costo; la razionalizzazione delle regole di comportamento dell’organizzazione in vista di quell’obiettivo; il distacco da ogni altro canone morale, cioè l’anestetizzazione della coscienza come conseguenza di quella razionalizzazione.

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